TOTI SCIALOJA

La mela di Amleto

 

IL GATTO BIGOTTO (1974-1976)

LA MELA DI AMLETO (1976-1977)

LA FARFALLA DI FOLLONICA (1977-1978)

PAESAGGI SENZA PESO (1979-1980)

 

 

IL GATTO BIGOTTO (1974-1976)

 

 

 

Il gatto bigotto

che rosea ha la lingua

si lecca di sotto

soltanto a Gottinga.

 


 

Calma la talpa sotto il chiar di luna

palpa le sue patate ad una ad una.

 


 

Di giorno quando i gatti sono intensi

pensi che il loro pelo offuschi i sensi.

Di notte quando i gatti sono immensi

si ricopre di pelo quel che pensi.

 


 

Un tordo vive in ozio

nell'orto di mio zio:

appena fa uno zirlo

mio zio corre a zittirlo.

 


 

Sotto un cespo di rose scarlatte

offre il rospo tè caldo con latte.

Sotto un cespo di rose paonazze

tocca al rospo sciacquare le tazze.

 


 

Sotto un ace

ro il rinoce

benché lace

ro e di pece

dorme in pace.

Sotto un noce

ch'è di fronte

ronfa il ronte.

 


 

Non sbaglia

la cagna

di Baia

se abbaia

nel buio

già prima

che appaia

la luna

di luglio

che subito

abbaglia

la baia

di Baia.

 


 

È lastricata d'ostriche

ogni strada di Ostenda:

la passeggiata è ostica

ma la strage fu orrenda.

 


 

Il coccodrillo artritico che scricchiola

arranca lungo il greto verso un croco

giallo cromo, lo fiuta, fa una lacrima

se il croco raggrinzisce a poco a poco.

 


 

In maggio il rospo

guardava un trespolo

pensando: "Nespole!"

 

In giugno il rospo

salì sul trespolo

cercando il fresco.

 

In luglio il rospo

cadde dal trespolo

pensando: "Casco!"

 

Poi venne agosto.

 


 

Una libellula

mi canterella:

"Trallerallibe

trallerallulla

la bile è lilla,

labile è il nulla,

abile o molle

libo a chi ballaÖ

Lo stagno pullula!

Tra queste bolle

che fai di bellulo?"

 


 

Dove piove? Piove a Dover!

Viene forte per davvero

tira vento di levante.

 

Venti vedove col velo

vanno in fila su una trave

ma s'inzuppano all'istante.

 


 

Il re Serse scorse un orso

lo rincorse con le sferze

lo percosse a tutta forza.

L'orso insorse con un morso,

Serse andò fuori di Serse

e si perse dentro l'orso.

Quanto all'orso, senza forse,

lui si perse nel discorso

a soccorso del re Serse:

 


 

Quando l'iguana si sfila i guanti

tra i calicanti del Paraguay

lo fa guardinga, con gesti esangui,

guatando attorno, fiutando guai,

talmente ha in uggia i guaranì.

 


 

Quando m'imbatto nel basilisco

a Basilea, spesso allibisco:

la solitudine, il lungo esilio,

lo han reso tanto senile ed esile

che sul basilico rimane in bilico.

 


 

Mangio ñ di gusto ñ

il cane arrosto.

Ma almeno il muso

andrebbe escluso.

 


 

L'anguilla sull'orlo dell'Arno

trascorre tranquilla l'inverno:

mettendosi lunga distesa

si appisola al sole di Pisa.

 


 

Nei vapori del parco di Pavia

i pallidi pavoni si allontanano

a passo di pavana e vanno via.

 


 

Calano a mille sugli ermi colli

della Maremma i merli folli

per far merenda coi vermi molli.

 


 

A voltar sulla pancia non riesco

lo scarabeo babbeo che troppo annaspa

ñ le zampe all'aria ñ dopo un arabesco.

 


 

Ho una mosca chiusa in pugno

presa a volo il primo giugno.

L'ho sentita far subbuglio

fino circa a metà luglio.

 


 

L'ape che fuma pepe

lo stipa nella pipa

lo aspira come un papa

lo sputa cupa cupa

oltre le siepi in fior.

 


 

La lepre in fretta bruca bruca bruca

la lepre a un tratto si cala le brache

il vento soffia in aria una festuca

la lepre fa la piscia in una buca

la festuca discende e la ricopre

bruca in fretta la lepre lepre lepre.

 


 

Se l'orso nero avesse detto al bruno

a muso duro e senza altre premesse

quel che avrebbe pensato quando avesse

creduto d'esser bruno anziché nero

non staremmo carponi dietro un pruno

fuor di vista da un orso non sincero.

 


 

C'è un ramo che sporge sul lago

di Como, sospeso a quel ramo

un ragno si specchia nel lago

ma l'onda morente di un remo

increspa, col ragno, nel lago

quel ramo del lago di Como.

 


 

Chi mette la mosca per esca

dimostra che losca è la pesca:

se infatti la lasca ci casca

c'è caso che a sera finisca

non lasca ma labile lisca.

 


 

L'incauta tinca che mi fissa a Sessa

Aurunca con la sua pupilla bianca

pare non si convinca d'esser lessa.

 


 

Guarda che bianco alano!

Guarda che zanna aguzza!

Teniamoci per mano

al centro della piazza.

 


 

Le cicale di Lucca

perché ciascuna n'abbia

si passano la cicca

bruciandosi le labbra.

 


 

La luna e una lumaca immacolata

con gelida lentezza calcolata

passano su una foglia d'insalata.

 


 

Di notte quando i topi van raminghi

bisbiglio: "Notte!" perché si prolunghi.

All'alba quando i topi levan strida

esclamo: "È l'alba!" benché non mi illuda.

Di giorno quando i topi son di perla

grido: "Giorno!" per far cessar le urla.

Di sera quando i topi sanno d'unto

dico: "Sera!" vagando a lume spento.

 


 

Piscia un cane sulle spine

polverose di Fregene.

Cuor di cane, ombra di cane,

spruzzatina a fin di bene.

 


 

È la Pasqua, la Pasqua, la Pasqua!

Corro in bagno, riempio la vasca,

perché al suono di tante campane

la mia anima puzza di cane.

 


 

Per chilometri di costa

trasformata in cartapesta

sputa, il mare, a testa bassa,

le sue bambole di plastica.

 


 

Monto sul tram ad Otranto e chi ti incontro? Un tonno!

Gli dico: "Tonno, auguri!" e lui, pronto: "Oltrettonto!"

Poi scese in riva al mare, scomparve tra i tuguri.

 


 

"Sempre caro mi fu quest'erto corno"

pensa il rinoceronte

senza nessuno intorno.

 


 

Nel teatro di Acapulco

ogni pulce occupa un palco.

 


 

Se vi recate in Istria a istruirvi sulle istrici

e anch'io mi trovo in Istria all'incirca sul vespro,

con voi mi metto spesso, strizzando l'occhio, o illustri,

a spiare le istrici, quando, strisciando il passo,

prive del tutto d'estro sfilano a capo basso,

sempre più basso e triste, con le pupille fisse,

sempre più fisse e isteriche fino a parer sinistre,

presaghe di disastri sotto mostrine fruste,

le scarpe senza stringhe, i musi spigolistri,

ed accalcano i chiostri per mendicar minestre.

 


 

D'inverno quando i vermi sono spenti

ho scritto pochi versi, quasi lenti.

D'estate quando i versi sono ardenti

ho fritto molti vermi: quasi venti.

 

 

 

LA MELA DI AMLETO (1976-1977)

 

 

 

Che fai malato Amleto con una mela in mano

che fai mela di Amleto nella mano malata

che fai molesto Amleto matto della tua mela

che fai mela di Amleto destinata a letame

che fai letale Amleto masticandola male

che fai mela di Amleto per metà malandata

che fai melato Amleto con una mela in meno?

 


 

L'attimo del sospetto

si accende e non si accende

l'alibi dell'inetto

si vende e non si vende

l'alito dell'infetto

si estende e non si estende

l'abito del gobbetto

si appende e non si appende

l'asino del carretto

si arrende e non si arrende

 


 

L'occhio vedrà la mosca

volare in cerchio al centro

di una stanza ñ di un antro ñ

davanti ad uno specchio.

L'occhio vedrà lo specchio

volare in cerchio al centro

di una stanza ñ una grotta ñ

davanti ad una mosca.

Mosca più specchio: stanza

specchio più cerchio: grotta

cerchio più stanza: mosca.

 


 

Chi crede alla corda si chiama cordaro

chi adotta la coda si chiama codardo

chi adora l'azzardo si attarda col dado

chi ha un dardo nel cuore lo strappa in ritardo

chi è ladro di rado si sdraia su un cardo

soffrigge col lardo chi è cuoco di bordo.

 


 

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino

tanto va la gotta al tardo che si sfascia lo scarpino

tanto va la ghetta al sardo che l'allaccia sul gradino

tanto va la ghiotta al nardo che lo struscia col linguino

tanto va la grappa al bardo che rintraccia il suo destino.

 


 

Cerco l'ago nel pagliaio

cerco l'ego nel migliaio

cerco l'ergo nel bisbiglio

cerco l'agro nell'intruglio

cerco il largo nel risveglio

cerco il drago nel vermiglio.

 


 

La farina del diavolo va tutta in crusca

la faina del dialogo va tutta in tresca

la ferita del diacono va tutta in crosta

la fanfara nel diapason va tutta in cresta

la farfalla nel diafano va tutta in frasca.

 


 

La lingua batte dove il dente duole

languida gatta deludente al sole

l'inguine è un latte misto a spente viole

unghie scarlatte contro stinte stole

sangue ed ovatta nelle stente aiuole

dilaga il bitter tra le tende in stile.

 


 

La pietra focaia che incendia le spine

il lupo mannaro che corre alla luna

la scure mannaia che gocciola schiuma

il gatto mammone che sfoggia le trine

la porta carraia che spande il suo lume.

 


 

La mano e il guanto di bianco camoscio

la rana e il fango se la pioggia scroscia

il nano e il manto d'oro con lo struscio

il cane e il santo quando picchia all'uscio

il pane e il canto che ogni notte cresce

la brama e il tango di chi non si lascia.

 


 

Caval donato non si guarda in bocca

coltel dannato non si scorda in brocca

cappel drizzato non si accorda in ciocca

capel dorato non si incorda in crocca

castel domato non si inarca in rocca

casal datato non si lorda in biacca

cavol drogato non si attarda in bocca.

 


 

Testa e croce

tiro il soldo

festa e brace

lo raccolgo

pasta e ceci

c'era un buco

crosta e noci

mo ci sputo.

 


 

Se oscilla lo scalino senza senso

discendo per la scala senza incenso

se la piaga si placa senza unguento

rammento la caduta senza inciampo

se la schiuma si schiera senza schianto

attendo la schiarita senza incanto

se piove lungo un viale senza vanto

sento chiudere chiese senza vento.

 


 

La rosa dei venti ñ la resa dei conti

la ressa dei crampi ñ la rissa dei santi

la rocca dei canti ñ la rumba dei lenti

la ruspa dei monti ñ la resta dei campi

le risa dei tanti ñ le russie dei rantoli.

 


 

La stanza tra l'ombre di Londra

è ingombra d'attese stasera

ma un'ansia circonda le rose

dei vasi più rosse che nere.

 

Son rosse le rose di Londra

che affollano in massa l'attesa

trascorsa nell'ansia con l'ombre

dei mesi più mosse che vere.

 

Oppressa dall'ansia di Londra

la stanza prepara una sera

di rose per l'ombre e le ronde

dei visi più molli che altere.

 

Rosseggia la stanza di Londra

e ingombra di rose l'ansiosa

serata che scorre sull'ambre

dei rasi più folli che austere.

 


 

Scarsa schiera ñ chiesa avara

chiosa schiva ñ chiave chiara

schiuma scura ñ squama amara

scarpa corsa ñ scaltra schiava

schiena scarna ñ chioma cara.

 


 

Magri cani fuori Locri

sacri crani troppo alacri

negri crini cari ai pigri

agri treni per chi emigri

acri trine tra le lacrime.

 

 

 

LA FARFALLA DI FOLLONICA (1977-1978)

 

 

 

C'è una folla malinconica

di farfalle intorno all'ultima

rosa frolla di Follonica.

 


 

In una stanza senza

né porte né finestre

la scolopendra avanza

e fa una danza triste.

 


 

O magre gru, magari,

magari, grigie gru,

raggiungervi laggiù.

Vedervi aprire le ali

sulle paludi blu.

 


 

Da mesi scrivo a Fermo Posta, Ostenda.

Non credo più che l'ostrica risponda.

 


 

Mille lombrichi in lacrime lungo l'ombre del Lambro

ñ corso d'acqua lombardo quantunque non lo sembri ñ

son solo mille lacrime colore d'ambra e fango.

 


 

Dall'oblò vedo l'oblio

ed il blu dovunque spio

vedo all'alba il balenio

di un gabbiano dirmi addio.

 


 

Il serpe sovente è alle prese

con una scarpetta celeste:

non farsi schiacciare la testa

è il minimo delle pretese.

 


 

Sulla tettoia passa senza peso

la gatta grigia nella luce fioca,

vedo da sotto lo zampino sceso

che preme contro il vetro e s'apre rosa.

 


 

Ieri vidi tre levrieri

lungo i viali di Treviri

più che bianchi erano neri

più che falsi erano veri

più che scalzi erano alteri

traversavano i pensieri

abbaiavano ai doveri

quasi a dire: Cosa provi

per noi lievi, per noi vili?

Cosa speri, cosa vivi

se ci trovi lungo i viali

di Treviri, incerti ai trivi?

 


 

Soffre d'affanno, ma non è per l'afa,

la mia giraffa affamata d'affetto,

ficca la lingua dentro la caraffa

di ratafià ñ con occhio esterrefatto.

 


 

Sogno che una zanzara con le staffe

mi dica: "Salta in groppa! La tariffa

del volo è quella antica ñ non far gaffe ñ

e tenera è la notte a Teneriffa."

 


 

Perché vuol far la furba, d'estate a Sant'Eufemia,

l'euforica farfalla calata sull'euforbia?

Si forbisce le labbra, ha languori da astemia,

come se fosse infamia abbandonarsi all'orgia.

 


 

Violento un vento soffia stanotte e mi risveglia,

ti riassesto la cuffia sul musino di triglia,

mi abbottono la maglia, sento il mare che muglia,

il tic tac della sveglia, i fischi della soglia,

mi svanisce la voglia di villeggiare a Oneglia.

 


 

Lo sciacallo sciancato sotto un antico scialle

color sciacallo allunga il muso nell'aiola

strappandola coi denti mi procura una viola

poi col suo passo scialbo mi accompagna al cancello

rosso di rose e roso di ruggine e d'amor.

 


 

In riva a un fiume lento che rassomiglia al Gange

la fillossera spesso, scesa la sera, piange

mentre in cielo si accende qualche nuvola rossa.

Per quanto non mi fidi degli afidi verdastri

le dico: "Perché piange?" e le riannodo i nastri

mentre con gli occhi rossi fissa il cielo che stinge.

 


 

Un alligatore d'America che gelido gelido avanza

arranca allibito scorgendo la gente tenersi a distanza:

si illude si illude raggiungerla traverso la nuda palude,

non sa che sui rettili pallidi ne han dette di cotte e di crude.

 


 

Per spengere la fiamma delle candele un soffio

ti basta ed è il sospiro che esali quando soffri

sognando il tuo paese di miele, o mio elefante:

fossero mille accese si spengono all'istante.

 


 

"La vita va avanti! La fita fa afanti!"

gridavan di naso novanta elefanti

o meglio sessanta, di cui trenta affranti,

tra anziani ed infanti non erano venti,

un sol pachiderma barriva tra i denti,

nessuno fiatava: da sempre era immerso

nel pieno silenzio l'immenso deserto.

 


 

Le tisane, i nepenti, i decotti calmanti

bollono debolmente mentre ti sfili i guanti

e quasi te ne penti riandando i tè danzanti

ora che siamo in tanti con i sorrisi spenti

o tisane, o nepenti, o decotti calmanti.

 


 

Il sabato del vigliacco

che ha la testa in un sacco

due braccia in una manica

e grida: "Oh Dio! Domenica!"

 


 

Una pulce del Pincio

si avvicinò di slancio

disse: "Chi sei? Mi avvinci!

Con te ñ dirlo mi brucia ñ

sarò culo e camicia."

 


 

Monterà la marmotta sulla rossa carriola?

Mormoro: "Monta, monta!" vedendola smarrita.

Lei sbotta: "Che martirio far le cose da sola!"

Esclamo: "T'ho ammaestrata! Non far la matta, amore!"

E lei monta atterrita ñ poi si asside, marmorea.

 


 

"Anima mia!" così parlai all'anguilla.

Lei mi mostrò la lingua, fu ad Antigua,

poi ambigua, quella volta, più che languida,

si ritirò nella stanzetta attigua.

Gridai persino: "Iniqua delle Antille!"

 


 

Respiro sul tuo muso roseo di lepre e spio

che a svegliarti non sia questo odore di rose:

rose e rose traboccano attorno al nostro addio

ma il sonno di una lepre non sopporta la dose.

 


 

La lepre ha il più crudele dei musi quando morde

i leggeri lillà sulla radura brulla,

strappa i fiori d'aprile, li ricaccia nel nulla,

col labbro che strafà profumato di verde.

 


 

Signora coi tre bianchi leopardi tra i ginepri

scatto una polaroid per chi ancora t'ignora:

fisso tre lunghe lingue color rosa corallo

che ti leccano i piedi mentre il cielo scolora

e sfuma in viola cenere un prodigioso giallo.

 


 

Signora, tre bianchi leopardi

sbucati dai grigi ginepri

si sono sdraiati ai tuoi piedi.

È l'ora abbreviata che inebria

quaggiù, quando il cielo riarde

ai bordi ed in alto scolora,

ma tu non li senti i leopardi

leccarti le scarpe, se è tardi

per te, se ricordi ch'è tardi.

Le belve sospirano: Ancora!

 


 

I grandi gatti avanzano

a balzi e soffi tra le calde rose,

i caldi gatti balzano

a strappi e graffi tra le azzurre rose,

le grandi rose azzardano

ciuffi di spine contro i gatti azzurri,

i caldi azzurri danzano

nella zuffa dei gatti e delle rose.

 


 

La lontra in lontananza è color d'erba

che viene e va ñ ma non vedo a che serva

una lontra attraente a gran distanza

tremolante per troppa lontananza.

 

 

PAESAGGI SENZA PESO (1979-1980)

 

 

 

Dove sono le nevi

addormentate un tempo

nel silenzio di brevi

inverni senza vento?

 

Estate. Il chiar di luna

luccica sulle pietre.

Accanto alla fontana

morrò sempre di sete.

 


 

In mezzo ai rovi a Ninive

visitiamo rovine

sono bianche le spine

bianche in alto le nuvole.

 

Non cade neve a Ninive

non arrivano navi

tu che puoi farlo vivine

le inanità soavi.

 


 

Sono in Asia ed Asia sia

vedo un sosia che mi spia

l'ansia è falsa compagnia

stapperò la malvasia.

 

S'apre l'Arca ed Arca sia

sbarca all'alba qualche arpia

suona l'arpa per la via

rischierò la nostalgia.

 


 

In quel di Assisi l'estasi

sui sassi è solo assenza

di attese se l'estate

esausta ne fa senza.

 

"Sì, sì!" dicono assisi

angeli dagli sguardi

color dei fiordalisi:

"È assurdo che sia tardi."

 


 

Chi mai grida in Crimea

dai crinali violacei?

Quale ardente chimera

incrimina la pace?

 

Lacrime di Crimea!

La chimera dilegua

oltre le creste cremisi

col grido della tregua.

 


 

Edere fanno ressa

sulla scalea deserta

delusa dall'assedio

Odessa si ridesta.

 

Anima fuori moda!

Balaustra odorosa!

Tra le cupole d'ossido

Odessa splende illesa.

 


 

Passeggiamo per Fiuggi

ci ripariamo ai faggi

più ci sentiamo saggi

più la pioggia vien giù.

 

Breve è la pioggia a Fiuggi

il sole è nei paraggi

sotto l'ombrello paggi

piumati e nulla più.

 


 

Dove il fiume fa una curva

dove il vento piega l'erba

masticavi un fil di salvia

semiamara nella sera.

 

Ti sfilasti in tutta calma

una calza dopo l'altra

anche il cielo era una salsa

bianca fuori e dentro bianca.

 


 

C'è un nibbio nel cielo di Gubbio

che gira e rigira

fin quando fa buio

fin quando nel viola svapora

tra nebbia e calvario

tra dubbio e delirio

la ruota del gran desiderio.

 


 

Sto premuto alla rete

metallica del prato

osservo senza fiato

il delicato Amleto

 

estrarre dal pantano

un'anguilla - inghiottirla

viva ñ poi con la mano

asciugarsi le labbra.

 


 

Lungo il greto dell'Arno

ansima un cane scarno

e annusa quanto basta

un raspo ed una scarpa.

 

Che resta di una scalza

vacanza sotto l'arco?

Vivere come un altro

è un sasso che rimbalza.

 


 

In mezzo alla Maremma

per arrostire il serpe

soffi sopra una fiamma

di scarsa legna verde.

 

Nel verde cielo sbuca

oltre il fumo una falce

dolce e fredda è la selce

dove appoggio la nuca.

 


 

Miele nella tua bocca

appena pensi: E siaÖ

lasci andare gli zoccoli

erbosi sulla riva.

 

Immobile ti spia

nello stagno una spiga:

a piedi nudi Leda

dietro il cigno si avvia.

 


 

Il raggiro più amaro

di tutta la Maremma

sotto un cielo di melma

fu il salto del ramarro.

 

Scomparve dentro un'erba

che ne svelò il tracciato

della fuga ñ da furba

tremando a cose fatte.

 


 

Andava alla deriva

su un'acqua alta due spanne

la barca che s'infila

nel fitto delle canne.

 

Non trova anima viva

la mano che mi tocca

l'addio fin dove arriva

increspa l'acqua sporca.

 


 

Sere, ma quali sere,

quali deserte attese,

quali rose severe

in azzurro paese.

 

Chi detesta l'estate

sente pungere l'erbe

e confonde le date

in fondo al verde debole.

 


 

Mi farò per l'autunno

una cuccia di cane

fino alla fin dell'anno

sotto le tue sottane.

 

Ci sorbiremo un uovo

il primo di gennaio

poi tornerò di nuovo

dove fa caldo e buio.

 


 

Il melo che scrollo nel sogno

è il rorido melo che regna

sui prati scoscesi di Cogne

ad ogni scossone mi bagna

rimbalzano mele cotogne

maligne più dure del legno

a volo le morde la cagna

più verde del vento che sogno.

 


 

A Ostenda se una tenda

lesta e celeste sbatte

onde color lavanda

diventano di latte.

 

Il bel lido si lastrica

di nafta ed una goccia

di limone sull'ostrica

rapida la raggriccia.

 


 

Sul lago Trasimeno

il vento dà la nausea

le canne si dimenano

per strappare l'applauso.

 

Al largo lo sgomento

splende per la distanza

dal fango affiora un fianco

di maiolica infranta.

 


 

Mi arrischio contro voglia

sugli scogli di Scozia

mare verde bottiglia

amo chi mi disprezza.

 

La speranza si spezza

la schiuma schiude scogli

mi stringo alla disgrazia

perché non si risvegli.

 


 

Se ci sentiamo invasi

dall'ansia ñ siamo a Samo

dove volano i mesi

sul mare mosso a sciami.

 

Se si levano semi

a volo ñ siamo a Samo

sull'erba mossa lesi

dall'ansia degli esami.

 


 

È mosso il mare a Mestre

quando la luce tras

colora e sull'impiastro

ha i lustri di uno strass.

 

A Mestre il cielo è triste

celeste fino al gres

se occorre far le viste

d'ignorare lo stress.

 


 

Sull'orlo del cratere

nere rovine e vento

il triste esploratore

ha le ciglia d'argento.

 

Risuona sulle lastre

la scarpa ma non bastano

scheletri di ginestre

a schernire chi resta.

 


 

L'ippodromo Parioli

è in programma stanotte:

che il glicine consoli

lo dicono le frotte

 

dei grappoli glaciali

appesi alla carcassa

della tribuna e i pali

quando la luna è bassa.

 


 

Piazza Cola di Rienzo

di cenere e d'incenso

un grifo siede a pranzo

col becco tocca il calice.

 

Dal lucernaio assorda

una pioggia beffarda

l'erede esce dall'edera

diradata e ci guarda.

 


 

Sordo lago di Garda

rumore d'acqua lorda

colore verde sorba

la scarpa nella merda

la carpa in mezzo all'erba

la squama che s'inarca

la morte che ritarda

la sponda dentro l'ombra

la lebbra che la orla

una voce che urla:

"Attaccati alla corda!"

 


 

La cerea ragazzetta

alzandosi da cena

si affaccia alla finestra

e lava un suo piattello.

 

Dice: "Stanotte piove

davvero" a quelli dentro.

"Se vedeste che tempo.

Nero come un cappello."

 


 

D'inverno venne a Vienna

e senza alcun perché

rovesciò gli occhi e svenne

s'una tazza di tè.

 

Noi le facemmo vento

con ventagli di penne:

rinvenire è uno stento

quando si sviene a Vienna.

 


 

Notti beate a Tebe.

Sulle panche di abete

il tebano che beve

non debella la sete.

 

Da sette porte a Tebe

si estendono le tenebre

ma il tebano non teme

sorride come un ebete.

 


 

Basta sbarcare ad Itaca

per capire ch'è antica

e affondando la pertica

lungo l'erta a fatica

 

traversare le ortiche

dell'orto fino al pero

del pianto e i rami morti

irti nel cielo nero.

 


 

Dentro l'ombra dell'edera

mio padre sulla soglia

alza in breve alle labbra

la mano di ricotta.

 

Il suo sigaro arde

fino al previsto crollo

della cenere e sperde

spaventi oltre il cancello.

 


 

Domenica ma al buio

arriva la minestra

nera con un cucchiaio

immerso nella destra.

 

È calda. Poi la tocco

lunedì un'altra volta

al buio e sento il secco.

Martedì viene tolta.