TOTI SCIALOJA
LA FARFALLA DI FOLLONICA (1977-1978)
PAESAGGI SENZA PESO (1979-1980)
Il gatto bigotto
che rosea ha la lingua
si lecca di sotto
soltanto a Gottinga.
Calma la talpa sotto il chiar di luna
palpa le sue patate ad una ad una.
Di giorno quando i gatti sono intensi
pensi che il loro pelo offuschi i sensi.
Di notte quando i gatti sono immensi
si ricopre di pelo quel che pensi.
Un tordo vive in ozio
nell'orto di mio zio:
appena fa uno zirlo
mio zio corre a zittirlo.
Sotto un cespo di rose scarlatte
offre il rospo tè caldo con latte.
Sotto un cespo di rose paonazze
tocca al rospo sciacquare le tazze.
Sotto un ace
ro il rinoce
benché lace
ro e di pece
dorme in pace.
Sotto un noce
ch'è di fronte
ronfa il ronte.
Non sbaglia
la cagna
di Baia
se abbaia
nel buio
già prima
che appaia
la luna
di luglio
che subito
abbaglia
la baia
di Baia.
È lastricata d'ostriche
ogni strada di Ostenda:
la passeggiata è ostica
ma la strage fu orrenda.
Il coccodrillo artritico che scricchiola
arranca lungo il greto verso un croco
giallo cromo, lo fiuta, fa una lacrima
se il croco raggrinzisce a poco a poco.
In maggio il rospo
guardava un trespolo
pensando: "Nespole!"
In giugno il rospo
salì sul trespolo
cercando il fresco.
In luglio il rospo
cadde dal trespolo
pensando: "Casco!"
Poi venne agosto.
Una libellula
mi canterella:
"Trallerallibe
trallerallulla
la bile è lilla,
labile è il nulla,
abile o molle
libo a chi ballaÖ
Lo stagno pullula!
Tra queste bolle
che fai di bellulo?"
Dove piove? Piove a Dover!
Viene forte per davvero
tira vento di levante.
Venti vedove col velo
vanno in fila su una trave
ma s'inzuppano all'istante.
Il re Serse scorse un orso
lo rincorse con le sferze
lo percosse a tutta forza.
L'orso insorse con un morso,
Serse andò fuori di Serse
e si perse dentro l'orso.
Quanto all'orso, senza forse,
lui si perse nel discorso
a soccorso del re Serse:
Quando l'iguana si sfila i guanti
tra i calicanti del Paraguay
lo fa guardinga, con gesti esangui,
guatando attorno, fiutando guai,
talmente ha in uggia i guaranì.
Quando m'imbatto nel basilisco
a Basilea, spesso allibisco:
la solitudine, il lungo esilio,
lo han reso tanto senile ed esile
che sul basilico rimane in bilico.
Mangio ñ di gusto ñ
il cane arrosto.
Ma almeno il muso
andrebbe escluso.
L'anguilla sull'orlo dell'Arno
trascorre tranquilla l'inverno:
mettendosi lunga distesa
si appisola al sole di Pisa.
Nei vapori del parco di Pavia
i pallidi pavoni si allontanano
a passo di pavana e vanno via.
Calano a mille sugli ermi colli
della Maremma i merli folli
per far merenda coi vermi molli.
A voltar sulla pancia non riesco
lo scarabeo babbeo che troppo annaspa
ñ le zampe all'aria ñ dopo un arabesco.
Ho una mosca chiusa in pugno
presa a volo il primo giugno.
L'ho sentita far subbuglio
fino circa a metà luglio.
L'ape che fuma pepe
lo stipa nella pipa
lo aspira come un papa
lo sputa cupa cupa
oltre le siepi in fior.
La lepre in fretta bruca bruca bruca
la lepre a un tratto si cala le brache
il vento soffia in aria una festuca
la lepre fa la piscia in una buca
la festuca discende e la ricopre
bruca in fretta la lepre lepre lepre.
Se l'orso nero avesse detto al bruno
a muso duro e senza altre premesse
quel che avrebbe pensato quando avesse
creduto d'esser bruno anziché nero
non staremmo carponi dietro un pruno
fuor di vista da un orso non sincero.
C'è un ramo che sporge sul lago
di Como, sospeso a quel ramo
un ragno si specchia nel lago
ma l'onda morente di un remo
increspa, col ragno, nel lago
quel ramo del lago di Como.
Chi mette la mosca per esca
dimostra che losca è la pesca:
se infatti la lasca ci casca
c'è caso che a sera finisca
non lasca ma labile lisca.
L'incauta tinca che mi fissa a Sessa
Aurunca con la sua pupilla bianca
pare non si convinca d'esser lessa.
Guarda che bianco alano!
Guarda che zanna aguzza!
Teniamoci per mano
al centro della piazza.
Le cicale di Lucca
perché ciascuna n'abbia
si passano la cicca
bruciandosi le labbra.
La luna e una lumaca immacolata
con gelida lentezza calcolata
passano su una foglia d'insalata.
Di notte quando i topi van raminghi
bisbiglio: "Notte!" perché si prolunghi.
All'alba quando i topi levan strida
esclamo: "È l'alba!" benché non mi illuda.
Di giorno quando i topi son di perla
grido: "Giorno!" per far cessar le urla.
Di sera quando i topi sanno d'unto
dico: "Sera!" vagando a lume spento.
Piscia un cane sulle spine
polverose di Fregene.
Cuor di cane, ombra di cane,
spruzzatina a fin di bene.
È la Pasqua, la Pasqua, la Pasqua!
Corro in bagno, riempio la vasca,
perché al suono di tante campane
la mia anima puzza di cane.
Per chilometri di costa
trasformata in cartapesta
sputa, il mare, a testa bassa,
le sue bambole di plastica.
Monto sul tram ad Otranto e chi ti incontro? Un tonno!
Gli dico: "Tonno, auguri!" e lui, pronto: "Oltrettonto!"
Poi scese in riva al mare, scomparve tra i tuguri.
"Sempre caro mi fu quest'erto corno"
pensa il rinoceronte
senza nessuno intorno.
Nel teatro di Acapulco
ogni pulce occupa un palco.
Se vi recate in Istria a istruirvi sulle istrici
e anch'io mi trovo in Istria all'incirca sul vespro,
con voi mi metto spesso, strizzando l'occhio, o illustri,
a spiare le istrici, quando, strisciando il passo,
prive del tutto d'estro sfilano a capo basso,
sempre più basso e triste, con le pupille fisse,
sempre più fisse e isteriche fino a parer sinistre,
presaghe di disastri sotto mostrine fruste,
le scarpe senza stringhe, i musi spigolistri,
ed accalcano i chiostri per mendicar minestre.
D'inverno quando i vermi sono spenti
ho scritto pochi versi, quasi lenti.
D'estate quando i versi sono ardenti
ho fritto molti vermi: quasi venti.
LA MELA DI AMLETO (1976-1977)
Che fai malato Amleto con una mela in mano
che fai mela di Amleto nella mano malata
che fai molesto Amleto matto della tua mela
che fai mela di Amleto destinata a letame
che fai letale Amleto masticandola male
che fai mela di Amleto per metà malandata
che fai melato Amleto con una mela in meno?
L'attimo del sospetto
si accende e non si accende
l'alibi dell'inetto
si vende e non si vende
l'alito dell'infetto
si estende e non si estende
l'abito del gobbetto
si appende e non si appende
l'asino del carretto
si arrende e non si arrende
L'occhio vedrà la mosca
volare in cerchio al centro
di una stanza ñ di un antro ñ
davanti ad uno specchio.
L'occhio vedrà lo specchio
volare in cerchio al centro
di una stanza ñ una grotta ñ
davanti ad una mosca.
Mosca più specchio: stanza
specchio più cerchio: grotta
cerchio più stanza: mosca.
Chi crede alla corda si chiama cordaro
chi adotta la coda si chiama codardo
chi adora l'azzardo si attarda col dado
chi ha un dardo nel cuore lo strappa in ritardo
chi è ladro di rado si sdraia su un cardo
soffrigge col lardo chi è cuoco di bordo.
Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino
tanto va la gotta al tardo che si sfascia lo scarpino
tanto va la ghetta al sardo che l'allaccia sul gradino
tanto va la ghiotta al nardo che lo struscia col linguino
tanto va la grappa al bardo che rintraccia il suo destino.
Cerco l'ago nel pagliaio
cerco l'ego nel migliaio
cerco l'ergo nel bisbiglio
cerco l'agro nell'intruglio
cerco il largo nel risveglio
cerco il drago nel vermiglio.
La farina del diavolo va tutta in crusca
la faina del dialogo va tutta in tresca
la ferita del diacono va tutta in crosta
la fanfara nel diapason va tutta in cresta
la farfalla nel diafano va tutta in frasca.
La lingua batte dove il dente duole
languida gatta deludente al sole
l'inguine è un latte misto a spente viole
unghie scarlatte contro stinte stole
sangue ed ovatta nelle stente aiuole
dilaga il bitter tra le tende in stile.
La pietra focaia che incendia le spine
il lupo mannaro che corre alla luna
la scure mannaia che gocciola schiuma
il gatto mammone che sfoggia le trine
la porta carraia che spande il suo lume.
La mano e il guanto di bianco camoscio
la rana e il fango se la pioggia scroscia
il nano e il manto d'oro con lo struscio
il cane e il santo quando picchia all'uscio
il pane e il canto che ogni notte cresce
la brama e il tango di chi non si lascia.
Caval donato non si guarda in bocca
coltel dannato non si scorda in brocca
cappel drizzato non si accorda in ciocca
capel dorato non si incorda in crocca
castel domato non si inarca in rocca
casal datato non si lorda in biacca
cavol drogato non si attarda in bocca.
Testa e croce
tiro il soldo
festa e brace
lo raccolgo
pasta e ceci
c'era un buco
crosta e noci
mo ci sputo.
Se oscilla lo scalino senza senso
discendo per la scala senza incenso
se la piaga si placa senza unguento
rammento la caduta senza inciampo
se la schiuma si schiera senza schianto
attendo la schiarita senza incanto
se piove lungo un viale senza vanto
sento chiudere chiese senza vento.
La rosa dei venti ñ la resa dei conti
la ressa dei crampi ñ la rissa dei santi
la rocca dei canti ñ la rumba dei lenti
la ruspa dei monti ñ la resta dei campi
le risa dei tanti ñ le russie dei rantoli.
La stanza tra l'ombre di Londra
è ingombra d'attese stasera
ma un'ansia circonda le rose
dei vasi più rosse che nere.
Son rosse le rose di Londra
che affollano in massa l'attesa
trascorsa nell'ansia con l'ombre
dei mesi più mosse che vere.
Oppressa dall'ansia di Londra
la stanza prepara una sera
di rose per l'ombre e le ronde
dei visi più molli che altere.
Rosseggia la stanza di Londra
e ingombra di rose l'ansiosa
serata che scorre sull'ambre
dei rasi più folli che austere.
Scarsa schiera ñ chiesa avara
chiosa schiva ñ chiave chiara
schiuma scura ñ squama amara
scarpa corsa ñ scaltra schiava
schiena scarna ñ chioma cara.
Magri cani fuori Locri
sacri crani troppo alacri
negri crini cari ai pigri
agri treni per chi emigri
acri trine tra le lacrime.
LA FARFALLA DI FOLLONICA (1977-1978)
C'è una folla malinconica
di farfalle intorno all'ultima
rosa frolla di Follonica.
In una stanza senza
né porte né finestre
la scolopendra avanza
e fa una danza triste.
O magre gru, magari,
magari, grigie gru,
raggiungervi laggiù.
Vedervi aprire le ali
sulle paludi blu.
Da mesi scrivo a Fermo Posta, Ostenda.
Non credo più che l'ostrica risponda.
Mille lombrichi in lacrime lungo l'ombre del Lambro
ñ corso d'acqua lombardo quantunque non lo sembri ñ
son solo mille lacrime colore d'ambra e fango.
Dall'oblò vedo l'oblio
ed il blu dovunque spio
vedo all'alba il balenio
di un gabbiano dirmi addio.
Il serpe sovente è alle prese
con una scarpetta celeste:
non farsi schiacciare la testa
è il minimo delle pretese.
Sulla tettoia passa senza peso
la gatta grigia nella luce fioca,
vedo da sotto lo zampino sceso
che preme contro il vetro e s'apre rosa.
Ieri vidi tre levrieri
lungo i viali di Treviri
più che bianchi erano neri
più che falsi erano veri
più che scalzi erano alteri
traversavano i pensieri
abbaiavano ai doveri
quasi a dire: Cosa provi
per noi lievi, per noi vili?
Cosa speri, cosa vivi
se ci trovi lungo i viali
di Treviri, incerti ai trivi?
Soffre d'affanno, ma non è per l'afa,
la mia giraffa affamata d'affetto,
ficca la lingua dentro la caraffa
di ratafià ñ con occhio esterrefatto.
Sogno che una zanzara con le staffe
mi dica: "Salta in groppa! La tariffa
del volo è quella antica ñ non far gaffe ñ
e tenera è la notte a Teneriffa."
Perché vuol far la furba, d'estate a Sant'Eufemia,
l'euforica farfalla calata sull'euforbia?
Si forbisce le labbra, ha languori da astemia,
come se fosse infamia abbandonarsi all'orgia.
Violento un vento soffia stanotte e mi risveglia,
ti riassesto la cuffia sul musino di triglia,
mi abbottono la maglia, sento il mare che muglia,
il tic tac della sveglia, i fischi della soglia,
mi svanisce la voglia di villeggiare a Oneglia.
Lo sciacallo sciancato sotto un antico scialle
color sciacallo allunga il muso nell'aiola
strappandola coi denti mi procura una viola
poi col suo passo scialbo mi accompagna al cancello
rosso di rose e roso di ruggine e d'amor.
In riva a un fiume lento che rassomiglia al Gange
la fillossera spesso, scesa la sera, piange
mentre in cielo si accende qualche nuvola rossa.
Per quanto non mi fidi degli afidi verdastri
le dico: "Perché piange?" e le riannodo i nastri
mentre con gli occhi rossi fissa il cielo che stinge.
Un alligatore d'America che gelido gelido avanza
arranca allibito scorgendo la gente tenersi a distanza:
si illude si illude raggiungerla traverso la nuda palude,
non sa che sui rettili pallidi ne han dette di cotte e di crude.
Per spengere la fiamma delle candele un soffio
ti basta ed è il sospiro che esali quando soffri
sognando il tuo paese di miele, o mio elefante:
fossero mille accese si spengono all'istante.
"La vita va avanti! La fita fa afanti!"
gridavan di naso novanta elefanti
o meglio sessanta, di cui trenta affranti,
tra anziani ed infanti non erano venti,
un sol pachiderma barriva tra i denti,
nessuno fiatava: da sempre era immerso
nel pieno silenzio l'immenso deserto.
Le tisane, i nepenti, i decotti calmanti
bollono debolmente mentre ti sfili i guanti
e quasi te ne penti riandando i tè danzanti
ora che siamo in tanti con i sorrisi spenti
o tisane, o nepenti, o decotti calmanti.
Il sabato del vigliacco
che ha la testa in un sacco
due braccia in una manica
e grida: "Oh Dio! Domenica!"
Una pulce del Pincio
si avvicinò di slancio
disse: "Chi sei? Mi avvinci!
Con te ñ dirlo mi brucia ñ
sarò culo e camicia."
Monterà la marmotta sulla rossa carriola?
Mormoro: "Monta, monta!" vedendola smarrita.
Lei sbotta: "Che martirio far le cose da sola!"
Esclamo: "T'ho ammaestrata! Non far la matta, amore!"
E lei monta atterrita ñ poi si asside, marmorea.
"Anima mia!" così parlai all'anguilla.
Lei mi mostrò la lingua, fu ad Antigua,
poi ambigua, quella volta, più che languida,
si ritirò nella stanzetta attigua.
Gridai persino: "Iniqua delle Antille!"
Respiro sul tuo muso roseo di lepre e spio
che a svegliarti non sia questo odore di rose:
rose e rose traboccano attorno al nostro addio
ma il sonno di una lepre non sopporta la dose.
La lepre ha il più crudele dei musi quando morde
i leggeri lillà sulla radura brulla,
strappa i fiori d'aprile, li ricaccia nel nulla,
col labbro che strafà profumato di verde.
Signora coi tre bianchi leopardi tra i ginepri
scatto una polaroid per chi ancora t'ignora:
fisso tre lunghe lingue color rosa corallo
che ti leccano i piedi mentre il cielo scolora
e sfuma in viola cenere un prodigioso giallo.
Signora, tre bianchi leopardi
sbucati dai grigi ginepri
si sono sdraiati ai tuoi piedi.
È l'ora abbreviata che inebria
quaggiù, quando il cielo riarde
ai bordi ed in alto scolora,
ma tu non li senti i leopardi
leccarti le scarpe, se è tardi
per te, se ricordi ch'è tardi.
Le belve sospirano: Ancora!
I grandi gatti avanzano
a balzi e soffi tra le calde rose,
i caldi gatti balzano
a strappi e graffi tra le azzurre rose,
le grandi rose azzardano
ciuffi di spine contro i gatti azzurri,
i caldi azzurri danzano
nella zuffa dei gatti e delle rose.
La lontra in lontananza è color d'erba
che viene e va ñ ma non vedo a che serva
una lontra attraente a gran distanza
tremolante per troppa lontananza.
PAESAGGI SENZA PESO (1979-1980)
Dove sono le nevi
addormentate un tempo
nel silenzio di brevi
inverni senza vento?
Estate. Il chiar di luna
luccica sulle pietre.
Accanto alla fontana
morrò sempre di sete.
In mezzo ai rovi a Ninive
visitiamo rovine
sono bianche le spine
bianche in alto le nuvole.
Non cade neve a Ninive
non arrivano navi
tu che puoi farlo vivine
le inanità soavi.
Sono in Asia ed Asia sia
vedo un sosia che mi spia
l'ansia è falsa compagnia
stapperò la malvasia.
S'apre l'Arca ed Arca sia
sbarca all'alba qualche arpia
suona l'arpa per la via
rischierò la nostalgia.
In quel di Assisi l'estasi
sui sassi è solo assenza
di attese se l'estate
esausta ne fa senza.
"Sì, sì!" dicono assisi
angeli dagli sguardi
color dei fiordalisi:
"È assurdo che sia tardi."
Chi mai grida in Crimea
dai crinali violacei?
Quale ardente chimera
incrimina la pace?
Lacrime di Crimea!
La chimera dilegua
oltre le creste cremisi
col grido della tregua.
Edere fanno ressa
sulla scalea deserta
delusa dall'assedio
Odessa si ridesta.
Anima fuori moda!
Balaustra odorosa!
Tra le cupole d'ossido
Odessa splende illesa.
Passeggiamo per Fiuggi
ci ripariamo ai faggi
più ci sentiamo saggi
più la pioggia vien giù.
Breve è la pioggia a Fiuggi
il sole è nei paraggi
sotto l'ombrello paggi
piumati e nulla più.
Dove il fiume fa una curva
dove il vento piega l'erba
masticavi un fil di salvia
semiamara nella sera.
Ti sfilasti in tutta calma
una calza dopo l'altra
anche il cielo era una salsa
bianca fuori e dentro bianca.
C'è un nibbio nel cielo di Gubbio
che gira e rigira
fin quando fa buio
fin quando nel viola svapora
tra nebbia e calvario
tra dubbio e delirio
la ruota del gran desiderio.
Sto premuto alla rete
metallica del prato
osservo senza fiato
il delicato Amleto
estrarre dal pantano
un'anguilla - inghiottirla
viva ñ poi con la mano
asciugarsi le labbra.
Lungo il greto dell'Arno
ansima un cane scarno
e annusa quanto basta
un raspo ed una scarpa.
Che resta di una scalza
vacanza sotto l'arco?
Vivere come un altro
è un sasso che rimbalza.
In mezzo alla Maremma
per arrostire il serpe
soffi sopra una fiamma
di scarsa legna verde.
Nel verde cielo sbuca
oltre il fumo una falce
dolce e fredda è la selce
dove appoggio la nuca.
Miele nella tua bocca
appena pensi: E siaÖ
lasci andare gli zoccoli
erbosi sulla riva.
Immobile ti spia
nello stagno una spiga:
a piedi nudi Leda
dietro il cigno si avvia.
Il raggiro più amaro
di tutta la Maremma
sotto un cielo di melma
fu il salto del ramarro.
Scomparve dentro un'erba
che ne svelò il tracciato
della fuga ñ da furba
tremando a cose fatte.
Andava alla deriva
su un'acqua alta due spanne
la barca che s'infila
nel fitto delle canne.
Non trova anima viva
la mano che mi tocca
l'addio fin dove arriva
increspa l'acqua sporca.
Sere, ma quali sere,
quali deserte attese,
quali rose severe
in azzurro paese.
Chi detesta l'estate
sente pungere l'erbe
e confonde le date
in fondo al verde debole.
Mi farò per l'autunno
una cuccia di cane
fino alla fin dell'anno
sotto le tue sottane.
Ci sorbiremo un uovo
il primo di gennaio
poi tornerò di nuovo
dove fa caldo e buio.
Il melo che scrollo nel sogno
è il rorido melo che regna
sui prati scoscesi di Cogne
ad ogni scossone mi bagna
rimbalzano mele cotogne
maligne più dure del legno
a volo le morde la cagna
più verde del vento che sogno.
A Ostenda se una tenda
lesta e celeste sbatte
onde color lavanda
diventano di latte.
Il bel lido si lastrica
di nafta ed una goccia
di limone sull'ostrica
rapida la raggriccia.
Sul lago Trasimeno
il vento dà la nausea
le canne si dimenano
per strappare l'applauso.
Al largo lo sgomento
splende per la distanza
dal fango affiora un fianco
di maiolica infranta.
Mi arrischio contro voglia
sugli scogli di Scozia
mare verde bottiglia
amo chi mi disprezza.
La speranza si spezza
la schiuma schiude scogli
mi stringo alla disgrazia
perché non si risvegli.
Se ci sentiamo invasi
dall'ansia ñ siamo a Samo
dove volano i mesi
sul mare mosso a sciami.
Se si levano semi
a volo ñ siamo a Samo
sull'erba mossa lesi
dall'ansia degli esami.
È mosso il mare a Mestre
quando la luce tras
colora e sull'impiastro
ha i lustri di uno strass.
A Mestre il cielo è triste
celeste fino al gres
se occorre far le viste
d'ignorare lo stress.
Sull'orlo del cratere
nere rovine e vento
il triste esploratore
ha le ciglia d'argento.
Risuona sulle lastre
la scarpa ma non bastano
scheletri di ginestre
a schernire chi resta.
L'ippodromo Parioli
è in programma stanotte:
che il glicine consoli
lo dicono le frotte
dei grappoli glaciali
appesi alla carcassa
della tribuna e i pali
quando la luna è bassa.
Piazza Cola di Rienzo
di cenere e d'incenso
un grifo siede a pranzo
col becco tocca il calice.
Dal lucernaio assorda
una pioggia beffarda
l'erede esce dall'edera
diradata e ci guarda.
Sordo lago di Garda
rumore d'acqua lorda
colore verde sorba
la scarpa nella merda
la carpa in mezzo all'erba
la squama che s'inarca
la morte che ritarda
la sponda dentro l'ombra
la lebbra che la orla
una voce che urla:
"Attaccati alla corda!"
La cerea ragazzetta
alzandosi da cena
si affaccia alla finestra
e lava un suo piattello.
Dice: "Stanotte piove
davvero" a quelli dentro.
"Se vedeste che tempo.
Nero come un cappello."
D'inverno venne a Vienna
e senza alcun perché
rovesciò gli occhi e svenne
s'una tazza di tè.
Noi le facemmo vento
con ventagli di penne:
rinvenire è uno stento
quando si sviene a Vienna.
Notti beate a Tebe.
Sulle panche di abete
il tebano che beve
non debella la sete.
Da sette porte a Tebe
si estendono le tenebre
ma il tebano non teme
sorride come un ebete.
Basta sbarcare ad Itaca
per capire ch'è antica
e affondando la pertica
lungo l'erta a fatica
traversare le ortiche
dell'orto fino al pero
del pianto e i rami morti
irti nel cielo nero.
Dentro l'ombra dell'edera
mio padre sulla soglia
alza in breve alle labbra
la mano di ricotta.
Il suo sigaro arde
fino al previsto crollo
della cenere e sperde
spaventi oltre il cancello.
Domenica ma al buio
arriva la minestra
nera con un cucchiaio
immerso nella destra.
È calda. Poi la tocco
lunedì un'altra volta
al buio e sento il secco.
Martedì viene tolta.